Farfara

Tussilago farfara

in dialetto è conosciuta come Fàrfara

Pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Asteracea conosciuta anche con i nomi di Tussilagine, Tossilaggine comune, Fàrfara o Fàrfaro, Farfallone, Farfugio, Paparacchio, Farfaraccio, Piè d’asino. Essa è munita di un grosso rizoma ricoperto di scaglie. I suoi steli sono eretti e pelosi. Le foglie sorgono dopo la fioritura e sono cuoriformi con il margine dentato. I fiori sono portati da un capolino solitario e sono di colore giallo. Il frutto è un achenio di forma cilindrica, con un pappo setoso di colore biancastro. E’ una pianta molto comune nel nostro territorio e vegeta, fino a 2300 metri di quota, in luoghi umidi, incolti, nei prati e nei campi, sponde di torrenti e fossati. Il nome Tussilago, tussis – agere, gli fu conferito anticamente per il suo uso nella medicina popolare, come tossifugo,(tussis – agere, significa togliere la tosse). Farfara deriva dal latino Farfarum, che è il nome antico attribuito dai Romani a questa pianta. L’antico nome latino della pianta -filius ante patrem- fa riferimento al fatto che le foglie vi compaiono solo una volta che i fiori sono appassiti. La Farfara è una delle piante officinali più apprezzate nella cura della tosse e nelle affezioni della pelle. ha proprietà espettoranti, astringenti, emollienti, lenitive. Oltre ad essere utilizzata come sedativo della tosse, trova impiego nei casi di raffreddore, influenze, laringiti, tracheiti e bronchiti. Per i suoi componenti (alcaloidi pirolizzidinici, epatotossici), l’utilizzo consigliato non deve essere superiore ai sei o sette giorni, e non più di due volte all’anno: per l’infuso porre 3g di capolini o foglie in 100ml di acqua bollente, fare riposare per 10 minuti, e filtrare. Bere da due a tre tazze al giorno. La fama che accompagna questa pianta è legata al fumo: nell’antica Grecia il medico Dioscorides raccomandava di fumarla per trarre sollievo dalla tosse e dall’asma; durante la II Guerra Mondiale i soldati di stanza in Europa la usavano come un sostituto del tabacco e, ancora oggi, entra come ingrediente in molte sigarette a base di erbe.

Le foglie si utilizzano per sformati, lasagne e paste fresche; vengono anche consumate sia fresche in insalata che come aggiunta a zuppe e cotte come contorno. Devono essere lavate accuratamente prima di cuocerle, per eliminarne il sapore alquanto amaro. I boccioli e i giovani fiori sono tradizionalmente consumati freschi o cotti ed hanno un piacevole sapore anisato, che arricchisce le insalate. Dai fiori e dalle foglie, sia fresche che secche, si ricava un tea dal vago sapore di liquirizia. Le foglie fresche, tostate, possono venire usate come sostituto del sale. Il sottile rizoma può venire candito in uno sciroppo di zucchero.

Repertòre di èrbe e piante bergamasche de mangià (tratto dal libro “Profumi e sapori di un tempo”, a cura di Cristian Bonaldi con la consulenza di Bonaldi Ruggero e Innocenti Maurizio – Corpo Forestale dello Stato).