Miniere Val Stabina

L’alta Val Brembana, come gran parte delle Alpi Orobie meridionali, è ricca di giacimenti minerali in particolare in Val Stabina.

L’intero massiccio del Tre Signori ospita importanti mineralizzazioni a ferro sotto forma di siderite (carbonato di ferro). I giacimenti di origine idrotermale si presentano, nelle rocce metamorfiche, associati ad altri minerali. I depositi più rilevanti, sotto forma di banchi, sono contenuti nelle formazioni sedimentarie del triassico inferiore. Le miniere e le attività metallurgiche e siderurgiche hanno caratterizzato per diversi secoli lo sviluppo economico e sociale del territorio brembano. Tra il XVI e il XVII secolo, grazie all’estrazione e alla fiorente attività di trasformazione del minerale presso i forni e le fucine dei paesi di Branzi, Carona, Valleve, Bordogna, Piazza Brembana, Lenna, Olmo al Brembo, Averara e Valtorta, la Valle Brembana visse un periodo di benessere e prosperità….


I documenti storici di questa epoca testimoniano che le piccole comunità della valle erano economicamente dinamiche ed intraprendenti. Le maestranze metallurgiche costituivano una categoria ricercata e preziosa, la cui migrazione in varie aree d’Italia e della Svizzera ebbe come conseguenza l’ingresso in valle di notizie, oggetti e idee provenienti da ambienti culturali diversi. La tradizione mineraria ha dato vita ad importanti innovazioni, tra cui il forno bergamasco”, che può essere considerato un vero e proprio antesignano del moderno altoforno. In questo periodo l’immagine della comunità di montagna chiusa ed isolata, povera ed ignorante, è sicuramente errata. Tale concezione è forse il risultato di un atteggiamento di opportunismo delle comunità locali verso l’autorità della Repubblica di Venezia, alla quale i valligiani si rivolgevano sovente con suppliche e preghiere al fine di essere esentate dalle tasse imposte dal governo centrale. La fine del periodo di prosperità coincide con la nascita dei nuovi stati nazionali che, esercitando un più attento controllo sul territorio, hanno ostacolato quelle piccole attività imprenditoriali che venivano svolte sovente all’insaputa dei governi. Con l’avvento delle prime industrie, molta manodopera generica venne reclutata dalle montagne: e la retribuzione con salari minimi determinò un sensibile abbassamento del tenore di vita dalla popolazione.

L’estrazione e la lavorazione del ferro I minatori si recavano al lavoro solo da ottobre a primavera inoltrata, perché con le basse temperature invernali l’acqua del sottosuolo gelando non si infiltrava nelle gallerie. In questo modo il lavoro era più agevole e si evitava la formazione di anidride carbonica dal contatto tra l’acqua e i minerali. In genere le squadre erano formate da poche persone: due minatori addetti allo scavo e uno o due garzoni per il trasporto del materiale all’esterno. Durante l’estate il minerale veniva arrostito” in modo da eliminare lo zolfo, l’arsenico e lo zinco che rendono meno pregiato il prodotto finale. Dopo questa prima cottura il materiale veniva esposto all’azione degli agenti atmosferici per circa un anno, in modo che la lisciviazione dell’acqua terminasse la depurazione del minerale. Restava così molto tempo per dedicarsi alle attività agricole e pastorali o per la cura dei boschi e la produzione del carbone, indispensabile per il funzionamento dei forni e delle fucine. Poiché le miniere si trovano spesso a quote elevate il minerale, arrostito e depurato, veniva trasportato a valle dove si trovavano normalmente i forni. Questo lavoro veniva affidato ai mulattieri, vere e proprie imprese di trasporto, che beneficiavano per prime del notevole indotto generato dalla coltivazione delle miniere. Nei forni il minerale era ridotto e trasformato in ghisa. Per alimentare i forni veniva utilizzato il carbone vegetale prodotto dalla combustione parziale e controllata della legna accatastata in carbonaie, i cosiddetti pòiat.

In linea di massima, per produrre un quintale di ghisa era necessario all’incirca un quintale di carbone, che a sua volta viene prodotto dalla trasformazione di circa cinque quintali di legna a seconda della specie impiegata. La ghisa grezza prodotta nei forni era poi inviata alle fucine grosse dove subiva una ulteriore lavorazione che ne riduceva il tenore di carbonio fino alla trasformazione in ferro dolce o in acciaio. Il prodotto di queste fucine erano eccellenti barre da 12-13 Kg di ferro dette quadri o quadroni. Per produrre l’acciaio venivano lavorate insieme ghise silicifere e ghise manganesifere, quest’ultime caratteristiche delle miniere bergamasche. Grazie alla qualità del minerale e alla perizia nella lavorazione l’acciaio prodotto era omogeneo e durissimo e perciò assai rinomato. Spesso accanto alla fucina grossa era attrezzata anche la fucina sotiladora (piccola), nella quale i grossi profilati venivano trasformati in semilavorati più sottili come le vergelle, lunghe e piccole bacchette a sezione quadrata, utilizzate poi per la realizzazione di piccoli utensili, manici da paiolo e chiodi. In Valle Brembana venivano fabbricati quasi esclusivamente questi ultimi; gran parte della ghisa affinata e trasformata in ferro e acciaio veniva esportata alle fucine della valsassina, verso la pianura o agli artigiani armaioli ubicati soprattutto nella Provincia di Brescia.

Il sentiero delle miniere Purtroppo, nel corso di mezzo millennio, si sono quasi del tutto perse le tracce di questa importante attività e quindi diventa difficile rievocarne le caratteristiche e le peculiarità. L’area tuttora più rappresentativa per concentrazione di antichi giacimenti in sotterraneo e buona conservazione delle gallerie, è ubicata in Comune di Valtorta, nel comprensorio minerario in località Falghera, posto nella parte bassa della valle del Torrente Caravino, poco sopra l’abitato di Valtorta. Qui, sia sulla destra che sulla sinistra della valle, all’interno dei filoni di quarzo sono presenti varie mineralizzazioni di solfuri di ferro. In particolare, sulla destra orografica e in basso, vicino al torrente, si incontrano giacimenti di blenda, galena e calcopirite sottoposti a scavi di ricerca e coltivazione anche in epoca recente (prima e durante l’ultima Guerra Mondiale), con gallerie, piazzale di lavorazione e polveriera in buone condizioni e visitabili in relativa sicurezza.

I giacimenti sulla sinistra del torrente sono posti più in alto e sono costituiti da galena e calcopirite; quest’ultima è particolarmente abbondante tanto da lasciare evidenti alterazioni sulle rocce di contatto con il filone. Grazie alla forte concentrazioni del minerale, questi giacimenti sono stati sfruttati fin dal Medio Evo e oggi restano solo le tracce delle bocche di ingresso, spesso ancora sostenute da volte in pietrame a secco. L’itinerario di visita parte, sul fondo del Torrente Caravino, a ridosso del paese di Valtorta, in corrispondenza dell’antico ponte Bolgià. In quest’area, lungo le sponde del torrente, erano ubicate numerose fucine che sfruttavano l’energia prodotta dall’acqua del torrente per l’alimentazione dei mantici e per il movimento di percussione del maglio. Molto spesso alle fucine erano associati anche dei mulini, posti nel medesimo edificio o in una struttura affiancata: sfruttando un’unica canalizzazione si trasmetteva così la forza motrice dell’acqua sia alla ruota idraulica della fucina, sia a quella collegata alla macina. In questo stesso luogo, sono state recentemente ricostruite, rispettando le originarie caratteristiche, due strutture che rievocano fedelmente il funzionamento dei magli e dei mulini di un tempo. E’ sicuramente molto suggestivo vedere oggi all’opera queste semplici tecnologie, antiche di cinque secoli, ma ancora efficaci. Per attraversare l’area mineraria della Valle del torrente Caravino si percorrere un comodo itinerario ad anello che parte proprio dalle ricostruzioni del maglio e del mulino seguendo inizialmente il sentiero CAI 104 fino alla contrada Scasletto. Qui si abbandona il segnavia CAI e si prosegue lungo il sentiero che scende a sinistra. Dopo circa 15 minuti, sopra un risalto roccioso, si possono osservare i resti delle gallerie più antiche, delle quali rimane solo la volta di ingresso. Proseguendo fino sul fondo della valle, il sentiero principale risale brevemente il versante destro e attraversa in piano un bel bosco di faggio fino ad incontrare sulla destra l’imbocco della galleria più alta. Scendendo verso il torrente si arriva in breve al piazzale di deposito e selezione del minerale, dal quale partono altre gallerie. Poco sopra il piazzale, prendendo la traccia che sale sopra le rocce (fare attenzione) si arriva alla polveriera, l’edificio dove venivano custoditi gli esplosivi. Tornando sul sentiero principale in pochissimi minuti si raggiunge la strada carrozzabile a monte di Valtorta e da qui, con breve passeggiata, si ritorna in paese.