Giongo e Prati Parini

Fino al primo decennio del 1800, la frazione di Botta di Sedrina, ha rappresentato la “porta” della Valle Brembana.

Oltre l’ultima osteria di Villa d’Almè, la strada per la valle proseguiva con andamento incerto e spigoloso fino alla località Chiavi della Botta, dove la montagna precipita verticalmente nel fiume Brembo…., in questo luogo la sede stradale si ristringeva a metri 1,5, e quel che peggio, era appoggiata su una serie di archi protesi nel vuoto e traballanti per la loro antichità …era senza dubbio uno dei tratti piu’ disastrati, un vero collo di bottiglia anche per la circolazione di quei tempi, costituita da pedoni, bestie da soma e svariati animali come mucche, pecore capre e maiali…”. Dalla frazione Botta di Sedrina, situata poco dopo le fatidiche Chiavi, si può percorrere un piacevole itinerario che presenta spunti di interesse geologico e paesaggistico e che consente di cogliere alcuni elementi di un ambiente rurale tipico della bassa montagna bergamasca. Il percorso parte dalla Via Giongo, nelle immediate vicinanze della pensilina delle autolinee e si sviluppa ad anello con un tempo di percorrenza di 3-4 ore. Non presenta particolari difficoltà ad eccezione del tratto tra Ca’ del Giongo e i Prati Parini dove, oltre al dislivello da superare, è utile avere un discreto senso di orientamento. Incamminandosi dunque lungo la Via Giongo, si entra nell’omonima Valle.


Il corso del torrente è inciso lungo la linea di contatto tra rocce di diverse età e composizione, le cui caratteristiche determinano le forme e la morfologia del territorio. La strada asfaltata, dopo alcune centinaia di metri, diviene una comoda ed ombreggiata mulattiera, lungo la quale si notano affioramenti di rocce calcaree, di un caratteristico colore bianco e rosato, che contengono spesso noduli e strati di selce, riconoscibili per la caratteristica frattura fresca concoide”. Queste rocce, che caratterizzano gran parte dell’itinerario, appartengono al Giurassico (da 190 a 130 milioni di anni fa). In quel periodo la zona era coperta dagli oceani e la selce deriva probabilmente dall’accumulo sui fondali di microrganismi a scheletro siliceo. La colorazione rosata prevale quando la sedimentazione era scarsa, in ambiente ossidante e frapposta all’apporto di argille dalle terre emerse. Attraversando il primo tratto di bosco si osservano alcune delle specie più diffuse nei boschi della collina: il nocciolo (Corylus avellana), il carpino (Ostrya carpinifolia) e la robinia (Robinia pseudoacacia). Quest’ultima specie, poco nobile, ma capace di adattarsi a tutte le situazioni fino a diventare infestante, non è originaria dell’Europa, ma degli Stati Uniti, da dove venne importata nel 1600 come pianta ornamentale. Grazie la rapida crescita e alla facilità di riproduzione è sfuggita alla coltivazione controllata e si è diffusa spontaneamente in gran parte d’Italia, prendendo spesso il sopravvento sulle specie autoctone. Una prima deviazione a destra porta nei pressi dei ruderi del mulino Giongo, che fino a tutti gli anni ‘50 macinava il granturco della Valle e degli abitati limitrofi. Ripresa la mulattiera principale si giunge a Cà Giongo, camminando lungo la sponda del torrente. Il sentiero si inoltra nel bosco di latifoglie in cui possiamo scorgere begli esemplari di rovere (Quercus petreae), tiglio (Tilia platyphillos) e frassino (Fraxinus excelsior).

Nel tratto pianeggiante è massiccia la presenza del carpino bianco (Carpinus betulus), pianta tipica dei suoli umidi, dal caratteristico tronco solcato e sinuoso e dalla corteccia grigio argentea. Un tempo il legno del carpino veniva usato per costruire gioghi e da qui il nome, dal celtico car (legno) e pin (testa). Sul fondo della Valle si incontrano formazioni geologiche ben diverse dalle precedenti, caratterizzate da una fitta stratificazione e dal colore scuro per la netta prevalenza di argilliti nerastre che si deteriorano facilmente. Sono rocce poco visibili, perché la loro tendenza a deteriorasi le porta ha coprirsi di terreno di alterazione. Le argilliti sono più recenti dei calcari descritti in precedenza, essendosi formate nel Cretaceo (da 130 a 65 milioni di anni fa), quando i grossi movimenti della crosta terrestre hanno sconvolto la stabilità dei bacini oceanici, provocando spostamenti e sedimentazione di materiale proveniente dalle terre emergenti. L’apparente stranezza della disposizione delle due formazioni rocciose descritte (il calcare bianco o rosato del Giurassico sopra la più giovane formazione nerastra del Cretaceo), trova una spiegazione nella meccanica della formazione della catena alpina, in cui le spinte verticali hanno sollevato maggiormente alcune porzioni di territorio rispetto ad altre. Di questi sollevamenti e fratture si trova traccia evidente nella disposizione verticale degli strati rocciosi della Corna dell’Uomo e del Canto alto (visibili verso Est). La mulattiera prosegue e superata Ca’ Giongo, diviene strada carrabile.Nei pressi di una cascatella si attraversa per la prima volta il torrente e si prosegue sempre sulla carrabile fino ad un trivio. Il nostro itinerario prosegue a sinistra, ma chi volesse osservare evidenti spaccati della formazione di argilliti prima descritta, può deviare a destra sulla strada silvo-pastorale che conduce a Bruntino alto, interessante frazione del Comune di Villa d’Almè. Si prosegue dunque a sinistra, ancora brevemente sulla strada carrabile e, attraversato un secondo torrente, la si abbandona per prendere un sentiero a destra che risale il versante. Si tiene il sentiero in salita (segnalato da volenterosi sconosciuti con il numero 101 bianco) fino ad incontrare una mulattiera in piano (segnalata con il numero rosso 205). Si segue verso destra questa mulattiera fino a giungere ai piedi dei prati dell’antica frazione di Rua. Qui si abbandona subito il sentiero per raggiungere, risalendo il prato su tracce non evidenti, il rudere che si scorge poco più in alto. Nonostante le cattive condizioni, questo edificio mantiene alcune delle caratteristiche tipiche delle architetture rurali della collina, come l’ingresso ad arco e la struttura del pozzo. Dietro questo antico insediamento si diparte una evidente mulattiera che conduce alla frazione di Rua alta, oggi ridotta a due grandi case contadine abilmente ristrutturate. Dal cascinale di sinistra, riconoscibile per l’ottima ricostruzione del tradizionale ballatoio in legno, utilizzato un tempo per l’essiccazione dei prodotti agricoli, parte la mulattiera che conduce ai Prati Parini. Risalendo il versante boscato si osserva la presenza del castagno (Castanea sativa), una specie importantissima, che per molti anni ha contribuito alla sopravvivenza delle popolazioni delle aree rurali.

Del castagno si utilizzava tutto: dal frutto edule e trasformabile in farina, al legno durevole e ideale per paleria, travature e falegnameria, alla foglia, abbondante e ottima come lettiera per le stalle. Il sottobosco è caratterizzato dalla presenza del pungitopo, piccolo arbusto verde scuro dalle foglie pungenti e coriacee, noto per le natalizie bacche rosse. Forse non tutti sanno che il pungitopo è una pianta dioica, cioè differenziata in piante con fiori maschili e piante con fiori femminili: solo queste ultime producono i caratteristici frutti. Questa specie è tipica dei terreni formatisi sulle rocce calcaree e quindi costituisce una valido indicatore ecologico: osservando gli affioramenti rocciosi notiamo infatti che compaiono esclusivamente i calcari bianchi e rosati che abbiamo già incontrato all’inizio dell’itinerario. I giovani germogli del pungitopo sono eduli e vengono ancora oggi raccolti; dal loro sapore amarognolo e dalle foglie pungenti il nome latino della pianta (Ruscus aculeatus). Avvicinandosi al culmine, con l’aumentare della quota fa la sua comparsa il faggio (Fagus sylvatica). Giunti ai Prati Parini (m 800) è possibile cogliere una splendida panoramica della bassa Valle Brembana. Le cave che si notano sul versante opposto coltivano lo stesso calcare bianco che si trova sotto i nostri piedi. Questo minerale è estremamente importante per tutta l’industria delle costruzioni e costituisce la materia prima per la realizzazione di numerosi materiali tra cui il più importante è sicuramente il cemento. La dorsale dei Prati Parini è un punto strategico lungo le linee di migrazione dell’avifauna e i numerosi e ben conservati roccoli che costellano l’intera area, ne sono una evidente testimonianza. Uno di questi, sfiorato dalla mulattiera che porta a Mediglio, è ancora oggi utilizzato dalla Regione Lombardia per scopi scientifici (inanellamento per lo studio delle migrazioni) Sul culmine dei prati si trova un azienda agrituristica, oltrepassata la quale, l’itinerario continua verso la frazione Cler, antico e pittoresco borgo sopra Sedrina. Da Cler si scende brevemente per la strada asfaltata fino all’evidente imbocco, sulla sinistra, di una bella mulattiera, da seguire fino alla contrada di Mediglio. Questo borgo, raggiunto dalla strada carrozzabile solo da pochi anni, ha mantenuto le sue caratteristiche originarie. Da Mediglio si torna rapidamente al punto di partenza lungo la strada asfaltata.