Sette otto metri di neve a fine estate per ottenere un metro di ghiaccio durante l'inverno. I parametri indicati dagli esperti sono questi, ma in periodi di magra come quelli attuali c'è poco da ragionare sulla possibilità di un incremento. Anzi, bisogna fare i conti con una diminuzione costante. Tempi duri per i ghiacciai e, proprio mentre in quota cadono (fortunatamente) i primi fiocchi della stagione, la conferma arriva puntuale dal Servizio glaciologico lombardo. Quest'anno ancora più puntuale del solito. Nei mesi scorsi è stato infatti messo a punto un sistema – tecnicamente definito come stima ponderata del bilancio di massa annuale dei ghiacciai – che, invece di misurare il semplice arretramento della fronte glaciale è andato a quantificare proprio la perdita di spessore del ghiaccio.
I risultati? Decisamente poco incoraggianti. Nonostante i dati definitivi debbano ancora essere presentati - l'indagine ha riguardato dieci ghiacciai in sette gruppi montuosi (Suretta sud, Vazzeda, Scerscen inferiore, Scerscen superiore, Campo Nord, Dosegù, Alpe Sud, Lupo, Pisgana Ovest, Adamello) - le anticipazioni che arrivano dall'unica realtà monitorata sulle Orobie, il ghiacciaio del Lupo appunto, non lasciano molte speranze. Lassù, a quota 2.500 circa, sotto il passo di Coca, nel giro di quattro mesi ne sono andati quasi tre metri di ghiaccio - per la precisione 2 metri e 90 centimetri - che, calcolati sulla profondità, sono un dato davvero preoccupante. «Considerato che lo spessore qui lo spessore dovrebbe aggirarsi sui 30 metri – spiega Stefano D'Adda coordinatore per le Orobie del Serivizio glaciologico lombardo e incaricato di portare avanti il nuovo progetto al passo di Coca assieme al collega Riccardo Scotti – vuol dire che teoricamente stando così le cose nel giro di dieci anni il Lupo potrebbe scomparire del tutto. In realtà quella che si sta concludendo è stata un'annata davvero eccezionale e abbiamo anche cambiato il criterio di misurazione».
Come? «Finora - aggiunge D'Adda - ci si era concentrati sull'estensione del ghiacciaio o comunque sulla neve presente, determinandone il valore soglia di 5 metri, ovvero la quantità necessaria all'inizio dell'estate perché il ghiacciaio non presenti ulteriori ridimensionamenti. Quest'anno si è deciso di effettuare delle valutazioni anche sul ghiaccio sottostante, cercando di misurarne le variazioni.
In pratica abbiamo collocato delle sonde di dieci metri, molto simili a quelle da valanga, alla fine di maggio, dopodiché siamo saliti altre quattro volte (l'ultima il 7 ottobre, ndr), misurando ogni volta la parte di palina che veniva ulteriormente scoperta, corrispondente quindi all'ulteriore diminuzione dello strato di ghiaccio. Così è stato fatto nelle altre nove località e ora si tratta di raccogliere tutti i dati. Sull'Adamello, ad esempio, la riduzione è stata di 170 centimetri, decisamente inferiore quindi al Lupo, ma bisogna considerare la differente altitudine: 3.100 metri contro i 2.500 del ghiacciaio orobico». Purtroppo c'è solo un termine per definire questo andamento: dissoluzione. «È dal 1987 – conclude Stefano D'Adda – che assistiamo a una serie negativa con l'unica eccezione della stagione 2000-2001. L'alluvione della Valtellina ha segnato un vero e proprio spartiacque; nei 25 anni precedenti avevamo registrato una certa ripresa; nel ventennio successivo la tendenza si è invertita, negli ultimi sei anni c'è stata un'accelerata e ora siamo in caduta libera».
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